L’avvento dei media digitali e sociali ha cambiato la direzione di molti processi: l’accesso ai contenuti, la gestione della comunicazione, la possibilità di attivare relazioni e mantenere saldi i legami che abbiamo con gli altri (pensiamo solo all’esperienza della pandemia), la percezione del rapporto con il tempo (“always on”) e con lo spazio.
Il concetto di portabilità:
Due sono le ragioni che introduciamo in apertura: la prima ha a che fare con la “forma” dei dispositivi stessi. I media sono sempre più indossabili, portabili e trasportabili. La portabilità porta i servizi, le conoscenze e le persone potenzialmente sempre con noi, proprio perché i dispositivi stessi sono “sempre in tasca”. «(…) Se in un tempo non molto lontano era naturale scindere tra situazioni con e senza media, oggi è quasi impossibile anche pensarlo» (Carenzio, 2018, p. 48-49). Siamo in quella che Sonia Livingstone aveva definito qualche tempo fa cultura della tasca (“pocket culture”) in continuità – e non necessariamente in sostituzione – della cultura della cameretta (“bedroom culture”) e della cultura del salotto (“living room culture”). Il tempo che viviamo – segnato dall’indossabilità dei media che sono “wearable” – è probabilmente già nella cultura del chip, dove la distinzione tra dispositivi e soggetti è sempre più labile. Proprio alla luce delle trasformazioni nella percezione di una distinzione netta tra spazi diversi, emerge in parallelo una diversa percezione del tempo: quello del lavoro, della scuola, delle professioni, ma anche del tempo libero e degli investimenti affettivi. Dal momento che posso rispondere in qualsiasi luogo e momento, senza necessità di essere in uno spazio dedicato, ecco che diventa più complesso introdurre una separazione netta tra spazi diversi.